SOPRAVVENUTI STRUMENTI URBANISTICI – ONERE DI NUOVA IMPUGNAZIONE PENA CARENZA DI INTERESSE; RISARCIMENTO DEL DANNO – ONERE DELLA PROVA DEL DANNO SUBITO IN ORDINE ALL’AN ED AL QUANTUM – ALLA CARENZA PROBATORIA NON PUO’ SUPPLIRE LA CTU
Si richiama, sul punto, l’insegnamento giurisprudenziale, secondo cui, ove nelle more del processo sia emanato un altro provvedimento incidente sulla stessa pretesa del ricorrente e questo non venga impugnato, ciò determina l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse (C.d.S., Sez. IV, 24 febbraio 2004, n. 731; id., Sez. V, 6 marzo 1991, n. 210), in quanto il ricorrente non ha più interesse a coltivare il giudizio, poiché, anche se il primo atto venisse annullato, nessun vantaggio ne deriverebbe al ricorrente medesimo, il quale risulterebbe impedito dal secondo provvedimento nel raggiungimento dello scopo (cfr. C.d.S., Sez. IV, 7 novembre 1978, n. 958).
Con specifico riguardo alla sopravvenienza di nuovi strumenti urbanistici, infatti, la giurisprudenza ha precisato che, nel caso in cui sia impugnata la prescrizione di un piano regolatore, qualora nelle more del giudizio detto piano sia interamente sostituito da altro strumento urbanistico, non vi è più interesse a discutere sul precedente strumento, quand’anche il nuovo abbia riprodotto la prescrizione impugnata: invero, il carattere riproduttivo o confermativo della nuova disciplina urbanistica, rispetto all’anteriore, nulla toglie al fatto che detta nuova disciplina consegua ad una nuova istruttoria e ad una rivalutazione complessiva del territorio comunale, cosicché la riproposizione di precedenti scelte, pur se coincidenti con le precedenti, non può dare luogo ad un atto meramente confermativo (C.d.S., Sez. IV, n. 731/2004, cit.).
Si ricorda, sul punto, che, per la giurisprudenza costante, nel processo amministrativo la richiesta di risarcimento del danno deve essere accompagnata da una puntuale dimostrazione del danno subito per effetto dell’atto illegittimo adottato dalla P.A., non potendo il giudice integrare la prova carente mediante una consulenza tecnica d’ufficio, o altri mezzi istruttori, atteso che tali strumenti consentono solo di valutare mezzi di prova già acquisiti al materiale oggetto di cognizione (cfr., da ultimo, T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 11 luglio 2017, n. 1191). Ed invero, nelle controversie relative alle domande risarcitorie trova applicazione il generale principio dell’onere della prova, secondo cui il soggetto, che deduce di avere subito un danno, ai fini del riconoscimento del suo risarcimento deve fornire la prova del danno subito in ordine all’an e al quantum, e alla totale carenza probatoria non può supplire la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio, la quale ha la funzione di fornire all’attività valutativa del giudice l’apporto di cognizioni tecniche non possedute, ma non è certo destinata a esonerare la parte dalla prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste (T.A.R. Basilicata, Sez. I, 8 febbraio 2017, n. 144).
Per la medesima ragione, va respinta la richiesta di liquidazione equitativa del danno ex artt. 1226 e 2056 c.c., la quale presuppone che sia in ogni caso provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare (T.A.R. Molise. Sez. I, 3 febbraio 2017, n. 38). Invero, l’assoluta mancanza finanche di un principio di prova impedisce che il danno possa essere liquidato equitativamente dal giudice ai sensi dell’art. 1226 c.c., poiché tale possibilità giammai può arrivare a sovvertire il principio dell’onere della prova che – come visto – in materia del risarcimento del danno, opera con pienezza anche nel processo amministrativo (cfr., ex plurimis, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 5 dicembre 2016, n. 5626).